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         Le opere di ingegneria, caratterizzate dal loro
        stile utilitaristico “di Adamo nudo e forte” fino ad ora relegate
        all’antropizzazione del paesaggio rurale possono adesso entrare,
        attraverso l’architetto, all’interno di un mondo urbano che da
        tempo, demolendo le proprie mura, si era aperto verso quel territorio
        che, a partire dallo sviluppo della metropoli, non poteva più sottrarsi
        dall’essere corpo organizzato e vitalizzato dalla città. 
        Un vero e proprio cervello in espansione, capace di dotare
        di fisicità l’organismo
        urbanizzato, dove la rete infrastrutturale diviene sistema nervoso,
        ma arche articolazione e protesi. 
        Il merito di Wagner sta nell’avere condotto la
        pianificazione della città verso il controllo delle reti
        — la metropolitana tra queste
        — definendo un estremo (utopico?) tentativo di intervento in un
        organismo territoriale avviato verso sviluppi e ritmi che sfuggono
        oramai a qualsiasi atto consapevole dove le leggi dell’espansione
        urbana sembrano divenire inaccessibili ed intraducibili culturalmente. 
        La via di Wagner non è né eversiva né storicista,
        certo non quella del Ring […] che va ripetendo ossessivamente le frasi
        del passato negando ogni mutazione temporale nel continuo tentativo di
        riaffermare il “già detto”, di prolungare disperatamente un sistema
        di valori sempre più estraneo alla realtà storica: egli prova invece a
        “dire il contemporaneo”, il provvisorio del proprio tempo,
        servendosi delle parole che ha a disposizione, aprendo la strada a
        coloro che dopo di lui si accorgeranno che molte cose non sono neppure
        “dicibili”. 
        
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